Arte e Natura non possono che essere considerati
in contrapposizione. La Natura si dà all’uomo per ciò che è, l’uomo che produce
(homo artifex) la modifica.
L’opposizione uomo/natura può essere letta anche come opposizione
cultura/natura. L’uomo che coltiva piega la natura alle proprie esigenze
costringendola a dargli ciò che egli esige: sostituisce l’artificiale al
naturale.
Oggi il confine tra natura e civiltà è ormai indefinibile: l’uomo ha infatti
modificato e dominato gran parte del pianeta trasformando anche la natura più
incontaminata in oggetto commerciale, turistico.
Gli ecologisti affermano che la natura viene maltrattata, le sue risorse
inutilmente sprecate e che occorre quindi pensare ad un sistema economico nuovo.
Forse proprio l’Arte in senso stretto può indicare la strada per un rapporto con
la natura che invece di sfruttarla le consenta di fiorire.
Ma l’uomo non è esso stesso natura? O è un’affermazione pericolosa?
(l’Esistenzialismo ci ha insegnato a diffidare dell’aspetto «naturale»
dell’uomo). Le migrazioni di interi popoli o la stessa cultura, per il suo peso
determinante e intrinseco, non sono Natura?
Anche nell’artificiale troviamo spesso l’elemento naturale e anzi l’artificiale
diventa naturale, come un ponte, una strada, la Tour Eiffel, la città stessa, a
cui solo il tempo e la storia danno valore (e si usa dire ad esempio di certe
città: «è una giungla»)
E un complesso industriale, con i suoi fumi neri o acidi, i rifiuti, la
disumanità, l’invivibilità? Ma anche la natura ha aspetti disumani (la morte),
sporchi e invivibili, e la logica del profitto trae le sue leggi dalla natura
perché non è altro che la logica della giungla…
Considerando tra le arti le «belle arti» dobbiamo chiarire intanto che esse
hanno mirato da sempre all’utile più che al bello (il termine viene usato solo
nel ‘700).
I giardini sono un esempio di rapporto equilibrato tra uomo e natura.
Le belle arti: la tradizione impone che l’arte debba imitare la natura. Imitare
significa rappresentare. Rappresentare significa creare una immagine che è
sempre l’immagine di… il valore di una immagine è tanto maggiore quindi
quanto maggiore è la sua somiglianza al modello: non deve sostituirsi ad essa ma
assomigliargli al massimo. Non tutte le arti sono adatte a tale scopo, ad
esempio Architettura e Musica creano oggetti inediti che non hanno alcun
riferimento alla natura esistente. La Pittura è invece un’arte adatta alla
rappresentazione. Il pittore possiede una base tecnica che gli consente di
raggiungere risultati talmente verosimili da ingannare persino lo spettatore
facendogli confondere la realtà con la sua rappresentazione.
L’arte è quindi imitazione della natura ma intesa ora non come ciò che ci è dato
ma come ciò che è conosciuto. Il conosciuto è il conveniente (per effetto
dell’ideologia e della cultura): ciò che conviene al dominante che quindi
determina la rappresentazione (per la commedia i prìncipi sono benefattori e i
valletti birboni). Non si rappresenta quindi il vero ma il verosimile cioè il
vero che somiglia a stesso (il vero «rappresentativo»).
Può capitare che un principe sia più birbone di un valletto, e ciò è vero
qualche volta , ma non è verosimile (quel principe non è «vero» principe, non
rappresenta l’idea prestabilita, l’idea dominante del principe). Lo storico
racconta quindi il vero mentre l’artista rappresenta il verosimile, motivo per
cui viene messo su un gradino più alto dello storico. Aristotile diceva «La
Poesia è più filosofica e ha un carattere più elevato della storia; perché la
prima preferisce raccontare il generale, la seconda il particolare».
Il verosimile ha quindi la funzione di ciò che il sociologo Persons definisce
pattern-maintenance, «la conservazione dei modelli istituzionalizzati che
costituiscono il cuore del sistema sociale».
L’arte come imitazione di ciò che è prestabilito e istituzionalizzato assume un
valore negativo e tutto il pensiero moderno si scaglia contro la
rappresentazione (non esiste oggetto senza soggetto). Perciò l’arte rivendica da
tempo una sua autonomia rinunciando alla rappresentazione ma concentrandosi
sulla sua essenza. L’arte diventa una pratica, non ha più nulla da dire ma vuole
solo fare. Anche nell’iper-realismo, la somiglianza all’oggetto per
eccesso di particolari assume la forma di simulacro e sfocia di nuovo
nell’irreale.
Però anche nel rinascimento, quando l’arte era al servizio del vero, essa
si appropriava di una dignità che la distingueva dall’artigianato. Inoltre
l’arte classica non vuole solo rappresentare ma produrre bellezza, vuole piacere
e l’artista quindi opera delle scelte, si prende la libertà di rappresentare
«un» soggetto in «un» certo modo. La bellezza diventa anche il mezzo per
rappresentare il vero in quanto pienezza dell’apparire… ma di cosa?
Dell’apparire di se stessa, come ci aiuta la riflessione sulla più astratta
delle arti, la musica che esiste nel momento in cui viene eseguita, nell’evento;
e la prima apparizione dell’opera è nell’atto della creazione. E ogni volta che
avviene una fruizione l’opera si dà in maniera sempre nuova perché diverso è il
ricevente. Pg 42
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