CONVERSAZIONE FRA LUCIO AMELIO E RICCARDO NOTTE
1991 Riccardo Notte
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N.: "Una domanda. Se l'attività della
Galleria Amelio ha sempre tenuto d'occhio la scena internazionale, come mai,
allora, fra poco allestirai una grande mostra sulla Commedia dell'arte entro la
quale spiccherà la figura di Pulcinella? Cioè un
emblema, un simbolo della napoletanità universalmente riconosciuto?
A.:
"Io vorrei fare una mostra che si chiami "La commedia dell'arte". Questo titolo
è naturalmente un trabocchetto per far credere alla gente che si voglia parlare
della commedia, mentre la commedia dell'arte è in realtà la "tragedia
dell'arte". La commedia dell'arte come genere teatrale non mi interessa
minimamente in questo momento. Quando uso questo termine lo uso per deviare
dall'interesse per questa cosa. Questa mostra non è una mostra di teatro.
L'immagine di Pulcinella viene utilizzata in un certo senso... si potrebbe anche
fare una mostra su Don Chisciotte, come si diceva l'altra sera, sul linguaggio
che si spezza ecc. In fondo Pulcinella non è l'immagine di Napoli, ma è
l'immagine del desiderio continuo, della fame perenne, fame fisica, fame di
altro genere. Però è una fame che una volta appagata non ti rende felice.
Pulcinella è la più proletaria di tutte le maschere di questo famoso teatro
della commedia dell'arte. Pulcinella non è un simbolo di napoletanità, semmai è
un segno, più che un simbolo, della Napoli come grande caverna che ha ombre e
luci; una caverna che parte da Cuma e attraverso Caravaggio, Masaniello, la
peste ecc. giunge ai giorni nostri. In questo caso non mi interessa sapere che
Pulcinella è stato dipinto da Tiepolo, Severini, Picasso. Non vedo perché dovrei
fare una mostra del genere. Anche perché della storia di Pulcinella non me ne
frega proprio niente. Mi interessa la figura di Pulcinella come segno di un
perenne desiderio di questa città perennemente inappagata. Ma proprio in questo
essere sempre inappagata, con una fame continua, e con questo continuo sogno da
appagare io vedo un segno di infanzia. Pulcinella è ogni artista".
N.:
"Usi il termine "segno" nel senso linguistico? in rapporto a
"simbolo""?
A.: "E' un riferimento. Per esempio, "Terrae Motus" non è il
simbolo del terremoto, ma è un riferimento allo stato mentale del terremoto.
Analogamente la mostra sulla commedia dell'arte dovrebbe essere la terza parte
di una trilogia che è nata con l'idea del terremoto. Quando Beuys è arrivato a
Napoli... "Terremoto in palazzo"... e poi è nato Terrae Motus che è una metafora
(usiamo la parola metafora in luogo di simbolo, lo preferisco). La metafora
dell'arte, dicevo, era stata tradotta da Beuys nell'idea dell'equilibrio che è
sempre in pericolo e non solo sempre in pericolo; l'arte come strumento per
specchiare quest'equilibrio, per creare un terreno pericolosissimo e
paradossalmente fertile per la creatività. Quando Mozart continua a suonare come
suonavano i suoi predecessori sembra che resti nelle regole e quindi tutto
appare tranquillo e tranquillizzante. Ciò avviene fino a quando un giorno, zac!
una nota salta più in alto e spezza la regola ...e si inventa una nuova regola.
Ecco. L'immagine che tu vedi di Pulcinella (indica il progetto grafico di un
manifesto o di un invito in cui è raffigurata una scultura di Pulcinella) non è
un'immagine rassicurante e oleografica. Essa è un'immagine in cui Pulcinella ha
nella mano sinistra una scopa e con la mano destra fa un segno che è anche un
segno di minaccia. Questa scultura settecentesca è proprietà di Roberto De
Simone e io l'ho utilizzata per l'immagine. Su Pulcinella Croce ha scritto un
saggio etc. etc. Ma l'immagine è quella di un personaggio potenzialmente
pericoloso quando si sfascia un equilibrio e subentra uno stato di non
equilibrio. E in questo stato di disagio fisico, intellettuale, se lo
trasferiamo al livello della metafora artistica, si cala come un vampiro
l'artista e inventa un nuovo linguaggio. Per esempio Warhol. Egli è uno degli
artisti che ha risposto per primo all'idea di Terrae Motus. Ma perché? Perché
Warhol era un vampiro. Egli succhiava il sangue alla società americana. Si
identificava, poteva essere una macchina. I suoi quadri del '63 'parlano solo di
disastri, di suicidi, di avvelenamenti per il tonno avariato. E poi anche i
quadri che sembrano essere i più rassicuranti, Come Marilyn, sono immagini di
morte; perché Marilyn era già morta quando lui la dipinse. Quindi - voglio dire
- questo succhiare a Marilyn morta, da parte di Warhol, significa che l'artista
è come un vampiro che cerca di ristabilire una sua regola personale. Anzi di
imporla".
N.: "Quando parli così sembri tu l'artista. O forse il vero
artista è oggi proprio il gallerista"?
A.: "Il mestiere di gallerista,
cioè di colui che è il tramite fra l'artista e la società, è un mestiere che non
si impara. Si diventa galleristi o perché una è una puttana, e allora il marito
le apre una boutique che poi si chiama galleria, o perché uno ha avuto un
incidente grave e non trova più senso in quello che faceva prima. L'arte è
un'avventura in cui un avventuriero con un certo talento può diventare manager.
Nel mio caso, io sono un avventuriero perché sono arrivato a fare il gallerista
per disavventura. Fino al '61 non avevo mai fatto niente. Certo, avevo girato il
mondo, studiato, guardato... ma non avevo mai fatto niente. Poi ho iniziato a
fare il traduttore, ho diretto una società tedesca di prodotti chimici, ho avuto
successo etc. etc. Poi, nel '63, sono caduto in una buca. Questa buca è stata un
catalizzatore che ha fatto scattare una scintilla che ha fatto poi accendere il
fuoco. Che possa fare accendere il fuoco dipende dal fatto se il fuoco c'è o non
c'è".
N.: "E' curioso. Sembra che tu stia descrivendo l'iniziazione di
Matisse. Anche Matisse era avviato a una vita pratica; poi a un certo punto
cadde e si fratturò una gamba, a ventun anni, se non sbaglio. E in ospedale
iniziò a disegnare per ingannare il tempo, scoprendo la fiamma
dell'arte".
A.: "Non conoscevo questo illustre precedente che mi lusinga.
Io trovo che il modo in cui ci sono arrivato è molto bello. Meglio così che come
puttana. In realtà aprire una galleria d'arte è un incidente. Un incidente che
naturalmente si carica di tanti precedenti. Per esempio a Napoli io mi sono
fatto carico di tutte le energie che gravitavano nel mondo artistico partenopeo.
Mi sono fatto tramite, come una specie di antenna, di tutte queste energie che a
Napoli c'erano dagli inizi degli anni '60. C'erano grandi artisti come Carlo Alfano, il quale era
completamente sperduto. Stava lì, disperato... C'erano (allarga le smisurate
braccia) migliaia di artisti assolutamente senza senso. Erano protervi. facevano
grandi riunioni nelle sedi del Partito Comunista... insomma, era un casino.
Mentre altri grandi artisti come ad esempio Emilio Notte, lavoravano totalmente
in silenzio (però lavoravano) assolutamente isolati e non riconosciuti. Questa
era la situazione di Napoli. In questa situazione arriva nel '65 uno sventurato,
ero io, con questa gamba, a letto ... etc. E così accende questo focherello.
Focherello che però aveva trovato terreno fertile. Diciamo che io in realtà sono
nato il 18 novembre 1965".
N.: "Cosa pensi di Bonito Oliva nelle vesti di
sacerdote della "Transavanguardia fredda"?
A.: "Ma io non so se Bonito
Oliva sia mai stato un sacerdote. Forse è stato più un sacrestano. Io di
sacerdoti nell'arte non ne conosco. Almeno in Italia. Conosco dei santi; conosco
anche dei grandi storici dell'arte come Giulio Carlo Argan. E poi conosco una
serie di sacrestani. Cioè di coloro che vorrebbero fare i preti e non ci
riescono, cioè riescono solo a servire la messa. Però i sacerdoti sono gli
artisti".
N.: "Hai recentemente dichiarato che i critici andrebbero tutti
bruciati (cfr. "Arte", Mondadori, Milano, settembre 1991)".
A.: "La
citazione è molto imprecisa. In realtà io dico questo: esiste l'artista, il
mago. Esistono Beuys, Paladino etc. Esistono questi personaggi che hanno la
bacchetta magica. Esistono coloro che fanno scattare il tutto ed esistono
personaggi che si chiamano "galleristi" e che captano queste onde magnetiche, le
riorganizzano e le fanno diventare un avvenimento mondano, le fanno conoscere a
un pubblico più vasto, sebbene comunque sia un pubblico di élite. Poi, in questo
processo, intervengono degli inquinatori. Essi sono coloro che pretendono di
avere capito tutto. Questi personaggi si chiamano normalmente "critici d'arte".
I critici d'arte mi hanno sempre fatto venire dei conati di vomito, perché hanno
sempre 'sta pretesa di dire ad esempio "...Paladino opera piripì e piripì
piripì... ". Con una perentorietà pazzesca! Sanno tutto! Ma più dell'artista!
Allora cosa succede? Succede che all'artista questo fatto ogni tanto fa comodo,
perché quello là gli fa avere la mostra etc. E quindi viene accettato
quest'andazzo. Poi i critici si inventano i nomi: "Arte povera",
"Transavanguardia" etc. Onestamente devo dire che "Transavanguardia" è un nome
ben trovato. Il nome vale tutto. Così come "Arte Povera". E certo chi è bravo
nel trovare un nome può pure fare fortuna. Il problema è che la
Transavanguardia, diciamo così, non esiste. Esistono degli artisti che si
chiamano Paladino, De Maria,
Sandro Chia, Nino
Longobardi, Enzo
Cucchi etc. Questi, per comodo, in un certo periodo della loro vita si sono
riuniti in un'etichetta inventata che poi è morta subito ed è già puzzolente con
un lezzo che si sente a distanza. Io con la Transavanguardia non ho mai avuto
nulla a che fare, per fortuna. Figuriamoci con quella "fredda"".