David Dalla Venezia, 207 (?)
1998
 Contemporaneo 

 

1998 olio su tela cm 46x38 “L’arte esprime l’eterno non il divenire, l’attimo è eterno...”. L’uomo di David è il pittore ma anche ogni uomo, è l’idea di uomo del pittore. Questa figura non è mai ferma, inerte, morta, ma è immobilizzata, bloccata, come folgorata in un istante che diventa sguardo di stupore o curiosità, caduta eterna nel buio, sforzo disperato per resistere a libri che schiacciano sommergono, salto gioioso e sovrumano, abbraccio violento e carnale, morso furioso di se stesso... Sono tutti istanti sospesi, irrigiditi in uno spazio enigmatico e geometrico, che sembrano fissare per sempre quell’azione, quell’accadere. Dietro quell’accadere emerge dominante quasi sempre il nero, un’oscurità potente, che richiama il vuoto, un cielo senza stelle, un cielo del nulla in cui si stagliano per sempre le inquietudini umane. “Poichè sono io che dipingo questi quadri è vero che sono ritratti di me stesso. Ma ulteriormente, in quanto ritratti di un uomo lo sono di ogni uomo; traggo da me ciò che vi è di comune a tutti gli uomini, e sottraggo ciò che mi differenzia da essi...”. Un uomo calvo, con occhiali opachi, un intellettuale moderno (David stesso?) che partecipa al mondo che rappresenta, protagonista nel dolore, nella sofferenza e nel guardarsi, nel cercare in mezzo a rami e foglie nel voler vivere e nell’essere accompagnato dalla donna, suo eterno altro. Una figura che pur nascondendo la propria identità per rappresentarci tutti, si lascia svelare, si presta come attore alla messa in scena di ogni momento del suo io, compresa la morte, l’assenza; perchè, cos’altro ci dicono quegli occhiali appoggiati su un piano, quasi assorbiti dall’ombra, se non una “fine”?.

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