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Informale
1948 |
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(EE) - L’i non può essere considerato un movimento, né una vera e propria tendenza; fin dall’inizio esso fu definito una «poetica», cui aderirono artisti tra loro molto diversi sulla base di un comune atteggiamento di fondo nei confronti della pittura, tra gli anni immediatamente successivi la seconda guerra mondiale e l’inizio degli anni ’60. Rientrano cosí nell’ambito dell’i le ricerche di raggruppamenti diversi (come l’Art brut o il tachisme in Francia, l’Action Painting negli Stati Uniti, lo spazialismo o il nuclearismo in Italia) e, piú spesso, i percorsi individuali di singoli artisti, in particolare in Europa e negli Stati Uniti. Numerosissimi furono i pittori che aderirono, per un certo periodo, all’i. Per darne qui solo un elenco indicativo e necessariamente sommario si citano, tra i molti, per l’Italia in particolare Burri, Morlotti, Moreni, Mandelli (le «tre M» del critico F. Arcangeli), Fontana in una certa fase, Vedova, Rotella, Scialoja, Turcato; in Francia, tra gli altri, Fautrier, Dubuffet, Hartung, Mathieu, Michaux, Wols; in Spagna soprattutto Tápies; nell’Europa del Nord i pittori del gruppo Cobra; negli Stati Uniti, esponenti dell’Action Painting, che fu in stretto rapporto con lo sviluppo della stagione dell’i europeo, furono, tra gli altri, Pollock, Gorky, De Kooning, Rothko, Motherwell, Tobey, Kline, B. Newman, S. Francis, C. Still. I motivi dominanti dell’i emergono con evidenza dalle opere che, nella loro specificità, rivelano tutte un sostanziale abbandono dei fondamenti della cultura pittorica precedente. L’antico binomio forma-colore, attorno al quale si erano sviluppate sia la storia delle vicende figurative che le piú recenti ricerche astratte, veniva abbandonato, dagli artisti dell’i, a favore della materia. Sulla materia, che è colore ma anche carta, tela, legno e tutto quello che tradizionalmente costituiva il supporto o il telaio dell’opera, l’artista agisce, nella pittura informale, con un gesto che varia a seconda dei casi: segno, macchia, taglio, graffio, strappo, bruciatura, dripping (sgocciolamento). Il gesto non è piú indirizzato verso una rappresentazione o un’espressione formale, come nella pittura precedente; esso è ora unicamente manifestazione dell’esistenza dell’artista. È questa componente materica e aniconica, che si ritrova in tutte le opere informali, che dà la misura di un profondo mutamento rispetto alla tradizione della pittura occidentale. Dipingere non è piú rappresentare o esprimere attraverso una forma figurativa o meno, ma soltanto manifestare nella materia, l’atto di esistenza del singolo. In questo senso è stato detto che nell’i viene stravolto quello che, in termini linguistici, è definito come il rapporto tra significante e significato: le diverse azioni compiute dall’artista sulla tela non sono piú espressione di un rapporto tra la rappresentazione e la realtà ma esistono di per sé, in quella sorta di presente assoluto che nasce dalla scelta di far coincidere il momento dell’ideazione con quello dell’esecuzione. Tutti gli artisti che aderirono all’i affermarono infatti, con accenti diversi, l’assoluta coincidenza del creare e dell’agire ogni idea che precede il gesto di dipingere è eliminata; l’azione del pittore nasce dalla casualità e dal rapporto, spesso sentito come fortemente empatico, con la materia. Si comprende da questo punto di vista quanto sia stata complessa, nell’i, la relazione con la pittura del passato: profondamente consapevoli dei «precedenti» costituiti dall’impressionismo, dalle avanguardie storiche, dal surrealismo, i pittori dell’i mescolarono, ad alcune tracce di continuità, segni di distanza e di rottura. Cosí le «eredità» della cultura artistica europea – dalla «scrittura automatica» dei surrealisti alle prime formulazioni astratte di Klee e Kandinsky, indietro fino alla pittura del tardo Monet – riemergono nella pittura informale espressamente svuotate del loro senso originario. Come scrive nel 1960 G. Mathieu, nell’i «si assiste alla dissoluzione di tutte le forme note per ritrovare il punto zero, il nulla a partire dal quale tutto può divenire possibile ». La questione del rapporto con il passato attraversa del resto l’intera storia della poetica informale; riemerge infatti con accenti diversi, talvolta opposti, nelle opere e nelle dichiarazioni degli artisti o negli scritti dei critici che per primi se ne occuparono (si pensi in particolare a F. Arcangeli, P. Restany, H. Rosenberg, M. Tapiè). La varietà di letture e interpretazioni è tale che la storia della pittura informale s’intreccia costantemente con quella delle sue definizioni. Un tema ricorrente, nella diversità delle singole posizioni, sembra essere appunto la riflessione sul tempo trascorso: un passato culturale e individuale che la cesura della guerra ha contribuito ad allontanare. Ritorna infatti nelle parole di diversi artisti il tema della memoria e della perdita del passato: da alcuni sentita con rimpianto, da altri rivendicata come un rifiuto e proclamata come necessaria. Cosí talvolta è la memoria individuale che riaffiora nell’atto del dipingere, come per Michaux: «Quando incominciai a dipingere mi tornò alla mente il mio mondo... i ritmi di cui avevo nostalgia, e in quei ritmi collocavo precipitosamente delle tracce brevi, piene di elettricità, delle violente tracce di cose esistenti» (1959). In altri casi invece ogni legame con il passato viene bandito con tragica determinazione, come in Wols che, pur essendosi formato sull’eredità della cultura del Bauhaus, scrive su un disegno: «La prima cosa che io allontano dalla mia vita è la memoria». In un artista come Fautrier, invece resta essenziale proprio l’attaccamento al passato, di cui la materia conserva le tracce: «La materia è memoria», egli scrive, e riconosce ancora una funzione ineliminabile nella genesi dell’opera alla «cosa vista» poiché, sostiene ancora, «nessuna forma d’arte può dare emozione se non ci si mette una parte di reale». Dubuffet proclama al contrario il proprio disinteresse per la pittura di coloro che dipingono ciò che vedono, dichiarandosi piuttosto a favore di quella pittura che rappresenta «spettacoli che il pittore desidera vedere e che non ha altra possibilità di incontrare che allestendoli da solo». Anche per Wols il rapporto dell’artista con la visione è ormai del tutto scisso dalla realtà: «Vedere è chiudere gli occhi», egli afferma, e una simile spinta a privilegiare il contatto con l’interiorità e ad ampliare il campo della percezione tradizionalmente affidato alla pittura si ritrova nelle parole di Hartung: «Quello che proviamo è molto piú forte dei rossi, degli azzurri che vediamo attorno a noi. E per noi pittori tutto questo è da esprimere... l’esperienza ridotta alla sola visione non ci fa conoscere l’oggetto e nemmeno il mondo. Non esdudo il fatto di vedere, al contrario, ma la vista non è il solo nostro modo di conoscere. Abbiamo ben altre maniere di conoscere». Per gli artisti dell’i europeo il rapporto con il passato assunse dunque quasi sempre i caratteri di un conflitto dilaniante: anche l’esperienza della guerra e del nazismo pesò, evidentemente, sia sul tentativo di rifiutare il passato sia su quello, che pure è presente nella cultura dell’i di ritrovare in esso i segni di un cammino possibile. Per i pittori dell’Action Painting americana, invece, e non tanto per gli immigrati dall’Europa, come Gorky, quanto per gli statunitensi, come Pollock, la pittura sembra ora poter consistere in un gesto con il quale disfarsi del bagaglio della tradizione europea. Si afferma cosí, soprattutto con Pollock, che adotta la tecnica casuale del dripping, una concezione essenzialmente empatica dell’atto del dipingere. Cosí egli dichiarava, tra l’altro, che «il quadro ha una vita sua e io non cerco che di farla venir fuori. È soltanto quando perdo contatto con la tela che il risultato è un disastro. Altrimenti si stabilisce uno stato di pura armonia, di spontanea reciprocità, e l’opera riesce bene». La differenza con i motivi dominanti nell’i europeo emerge chiaramente dalle parole di Rothko che individua come «ostacoli » alla piena chiarezza dell’opera «la memoria, la geometria », o in quelle di B. Newman che, riprendendo la stessa idea scrive, nel 1948: «L’immagine che produciamo ha in se stessa l’evidenza della rivelazione reale e concreta, che può essere capita da chiunque voglia guardarla senza i nostalgici occhiali della storia». Nella molteplicità di aspetti della pittura informale la critica ha voluto individuare alcune tendenze generali, sulla base delle caratteristiche dominanti nell’opera dei vari artisti. Si distinguono cosí (ma non se ne dà qui che un accenno breve e sommario) le ricerche del segno e del gesto – che racchiudono i percorsi di artisti come Hartung, Soulages, Fontana, Wols, Michaux, i pittori del gruppo Cobra in Europa e quelli di pittori come Tobey, Still, Kline, Motherwell, Pollock, Gorky, De Kooning, Francis negli Stati Uniti – e le ricerche dette della materia, proprie di pittori europei come Fautrier, Dubuffet, Burri, Tàpies.
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