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Spazialismo
1947 |
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Movimento fondato a Milano da Fontana già teorizzato nel Manifesto blanco pubblicato a Buenos Aires un anno prima
(EE) - Lo s è il movimento artistico che si fonda sulle enunciazioni contenute nel Manifiesto Blanco, redatto da Lucio Fontana nel 1946, a Buenos Aires. Firmato anche dai suoi allievi dell’Accademia di Altamira (tra questi, B. e P. Arias, M. Fridman, R. Burgos, C. Bernal, J. Rocamonte), il manifesto afferma l’importanza di un nuovo modo di concepire lo spazio e proclama l’abbandono della pittura da cavalletto. L’arte non deve piú sottostare alle limitazioni della tela o della materia («vogliamo che il quadro esca dalla sua cornice e la scultura dalla sua campana di vetro»), ma può allargare il suo campo, espandendosi attraverso nuove forme e tecniche espressive. Allo spazio viene data un’accezione anche fisica, non solo di trompe-l’oeil pittorico, ma di superficie attraversata dalla luce, costruita con la luce stessa. «Con le risorse della tecnica moderna – scrive Fontana – faremo apparire nel cielo forme artificiali, arcobaleni di meraviglia, scritte luminose». Due i capisaldi delle teorizzazioni di Fontana: il concetto di dinamismo, proprio del futurismo boccioniano, e l’importanza accordata all’inconscio dai surrealisti. La forma artistica è una sintesi fenomenica, un’unità «psico-fisica». Tornato in Italia alla fine della guerra, Fontana fa conoscere il manifesto ad altri artisti. Tra i primi ad aderire al suo programma furono Dova e Tullier, ai quali, in un secondo tempo, si unirono Bacci, Bergolli, Crippa, De Luigi, Donati, G. Morandi; infine, Capogrossi, Peverelli, Scanavino, Sottsass. A Milano, nasce il gruppo spazialista che a cavallo tra il 1947 e il ’48 redige un nuovo manifesto (lo s ne avrà ben sei). In molti di loro è evidente la coesistenza delle poetiche informali e gestuali, accanto ai principi spazialisti. L’anno successivo, presso la Galleria Il Naviglio di Milano, Fontana presenta un suo «ambiente spaziale», costituito da tubi ed elementi sospesi, fosforescenti e illuminati da una luce nera. Poco tempo dopo, nasceranno le tele con i buchi e i tagli, a significare l’apertura dell’opera d’arte verso una quarta dimensione, quella spazio-temporale. Nel 1952, Il Naviglio ospita la prima collettiva di artisti spaziali. Nel Manifesto tecnico dello spazialismo (del 1954, redatto da Fontana per il I Congresso Internazionale delle Proporzioni alla IX Triennale di Milano) viene ribadita la necessità «per l’uomo attuale» di un cambiamento nell’essenza e nella forma dell’arte e viene proclamata la conquista della dimensione del tempo: per gli artisti spaziali quindi non esisterà piú né pittura né scultura, ma solo «forme, colore, suono attraverso gli spazi». [Einaudi] |
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