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Transavanguardia
1978 |
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(EE) - Movimento artistico italiano sorto tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta. La denominazione e la definizione teorica del movimento risalgono al testo critico di Achille Bonito Oliva, La Transavanguardia Italiana (1980), testo nel quale vengono analizzate le principali caratteristiche del nascente movimento e vengono presentati al pubblico quelli che l’autore considera i rappresentanti della nuova tendenza: Sandro Chia (Ossa, carne, fossa, 1978: New York, Sperone Westwater Fischer), Enzo Cucchi (Lingue Feroci, 1980: Amsterdam, sm), Nicola De Maria (Musica-occhi, 1978-80: installazione Venezia, Biennale, 1980), Francesco Clemente (Trasformazione in lei, 1983: New York, moma), Mimmo Paladino (Silenzioso, pieno di stelle, 1979: Amsterdam, sm; Senza titolo, 1988, 65 elementi in rame, 13 sculture in bronzo: New York, Sperone; Londra, Gall. Waddington). All’origine, secondo quanto teorizzato da Bonito Oliva è la «catastrofe», cioè la capacità dell’arte di creare una rottura degli equilibri linguistici e ideologici presenti nel tessuto culturale degli anni Sessanta e Settanta. Di fronte all’impossibilità di una visione unitaria e lucidamente progressiva del mondo, di fronte alla crisi di determinati sistemi di pensiero, ideologici, politici, economici e scientifici si assiste a una crisi parallela della concezione progressista inerente la natura sperimentale delle avanguardie storiche e delle neoavanguardie. Rispetto dunque ai movimenti artistici che la precedono, la t si distingue per un rifiuto di quella che Bonito Oliva chiama «l’isteria del nuovo», vale a dire l’idea di progresso implicita nel continuo sperimentare nuove tecniche e nuovi materiali che, all’inizio degli anni Settanta, aveva portato a un netto rifiuto dei linguaggi tradizionali e a un tipo di ricerca che privilegiava l’uso di mezzi extraartistici. Attraverso una «mutazione» del panorama artistico si attua, con la t, un superamento del «darwinismo linguistico», cioè della linea evolutiva che dalle avanguardie storiche alle neoavanguardie degli anni Sessanta aveva caratterizzato lo sviluppo dell’arte. La t non soltanto si situa volontariamente fuori da questa linea di sviluppo, rivendicando la possibilità di assumere un atteggiamento «nomade» di reversibilità di tutti gli stili del passato (partecipando in tal modo a un clima culturale nel quale trovano posto anche i pittori «citazionisti» o «ipermanieristi»), ma si caratterizza anche e soprattutto, rispetto all’arte smaterializzata o impersonale degli anni Settanta, per un ritorno alla pittura, all’uso di metodi e tecniche tradizionali, a tempi di esecuzione lenti, alla figurazione. Viene dunque ripristinata la «tradizione della pittura» attraverso una rinnovata attenzione al campo della manualità e alla dimensione del «piacere» inerente il tempo dell’esecuzione pittorica. Se infatti, spiega Bonito Oliva, non è piú possibile per l’arte darsi come progetto di una visione unitaria del mondo, se è crollata la fiducia nella possibilità, da parte dell’azione artistica, di un intervento modificatore della realtà esterna all’opera, allora viene a cadere anche la fiducia nel valore della sperimentazione così come essa era stata intesa sin dalle avanguardie storiche. L’artista della t è libero allora di assumere una posizione di «eclettismo», di spaziare cioè nel territorio dell’arte e degli stili senza alcun tipo di preclusione. Assistiamo dunque a una contaminazione di tutti i livelli della cultura, da quelli «alti» dell’arte e delle avanguardie storiche a quelli «bassi» delle correnti minori e di tutto l’ambito della cultura popolare fino ai prodotti dell’industria dei mass-media. Si fa strada il concetto di «nichilismo compiuto» o «attivo» (liberato cioè dalla componente di disperazione nietzchiana) come quell’atteggiamento proprio dell’artista della t che vede l’abbandono della fiducia nel carattere in un certo qual modo utopico della tradizione dell’avanguardia, nelle sue possibilità progettuali, a favore di una condizione di precarietà e d’incertezza svincolata da ogni centralità. La dimensione in cui si situa questo operare è dunque priva di riferimenti, di qualsivoglia ancoraggio teorico o direzione prefissata. A una frantumazione di ogni visione unitaria del mondo corrisponde parallelamente la frantumazione di una possibile idea unitaria dell’opera d’arte la cui unica ragione sta ora nel campo della sensibilità individuale ed espressiva dell’artista. Rispetto al cosmopolitismo avanguardista, all’espansione verso lo spazio esterno, all’opera delle neoavanguardie parallela all’ideologia socializzante e comunitaria di queste ultime, l’arte della t si colloca in una dimensione volutamente «minoritaria » dove acquista nuovo rilievo il campo della soggettività individuale. Essa inoltre si caratterizza per una rinnovata attenzione verso le radici culturali specifiche del territorio e dell’ambiente in cui l’artista si trova a operare (il genius loci). A questo proposito Achille Bonito Oliva riscontra una tendenza analoga alla t italiana in Germania e negli Stati Uniti. In Germania, sotto il segno soprattutto di una ripresa di radici surrealiste a livello letterario ed espressioniste a livello pittorico, con un’apertura anche verso apporti astratti (Vedova, Klee, Beuys), Bonito Oliva vede un recupero di un’identità nazionale in particolare nell’opera di Georg Baselitz, Jorg Immendorf, Per Kirkeby, Markus Lüpertz e A. R. Penck. Negli Stati Uniti, a fronte di un analogo recupero dei motivi pittorici delle culture locali, si assiste a una svolta che privilegia il recupero della pittura legata all’elemento soggettivo e personale. Una svolta aperta a molteplici e differenziati apporti, ma preparata, secondo il critico, dall’opera di artisti come Frank Stella (1936) e Cy Twombly (1928) e i cui rappresentanti sarebbero artisti californiani e newyorchesi: Jean Michel Basquiat, David Deutsch, David Salle, Juhan Schnabel e Robert S. Zakanitch. |
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