|
(EE) - «Surrealismo, s.m.: Automatismo psichico puro mediante il quale ci si propone di esprimere sia verbalmente, sia per iscritto o in altre maniere, il funzionamento reale del pensiero in assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione e al di là di ogni preoccupazione estetica e morale». Con questa definizione, contenuta nel Primo Manifesto (1924), André Breton chiarisce il campo d’azione e il ruolo del movimento che aveva fondato, insieme ad Aragon, Eluard, Soupault e altri, negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale. La sfiducia nella ragione, il rifiuto della logica, colpevoli di un massacro che, nonostante la fine delle ostilità belliche, si andava ancora perpetuando, avevano spinto l’uomo verso la conoscenza del proprio inconscio. Le teorie psicoanalitiche di Freud avevano aperto un mondo sconosciuto, di cui i giovani che si erano riuniti intorno alla rivista «Littérature» (1919), avevano percepito l’esistenza, e di cui stavano scoprendo la forza liberatrice. Partendo dall’ambito del linguaggio i poeti surrealisti si proponevano di scardinare le regole dettate dalla ragione, per lasciar fluire un pensiero «automatico» che, al di là di ogni preoccupazione artistica o estetica, esprimesse l’animo del poeta, nel tumulto incoerente delle proprie passioni e dei propri desideri. Si trattava di ritrovare una dimensione che comprendesse al suo interno due stati in apparenza contraddittori, il sogno e la realtà: «una sorta di realtà assoluta, di surrealtà», come appunto la definì Breton. A questa liberazione dagli schemi logici, che dalla poesia doveva estendersi a tutte le attività della nostra vita, avrebbe dovuto corrispondere una rivoluzione nei rapporti sociali che, rompendo i legami imposti dalla religione, dallo stato e dalla famiglia, liberasse l’individuo da ogni forma di costrizione. Attraverso Freud e Marx, l’obiettivo era «cambiare la vita», «trasformare il mondo». Profondamente immerso nel proprio tempo, il s si avvale dell’eredità di alcuni spiriti moderni che lo avevano preceduto, recupera alcuni esponenti del simbolismo, Baudelaire, Rimbaud, Mallarmé, Valery, assimila lo humour distruttivo di Jaques Vaché per il quale «L’arte è una idiozia», ma soprattutto si richiama a Lautréamont, considerato, da Breton, il vero ispiratore del movimento. Trova in Marinetti e soprattutto in Tristan Tzara i segni precursori di una nuova poesia, che, liberata dalle regole del senso, può finalmente aprire nuove prospettive al linguaggio e quando Dada da Zurigo si trasferisce a Parigi, nel 1919, i surrealisti lo appoggiano vigorosamente, condividendo le posizioni antiletterarie e nichiliste. Il sodalizio ha vita breve, il desiderio di Breton di realizzare, attraverso un recupero della dimensione del «meraviglioso», un’unità nell’uomo, frutto di un incontro fra conscio e inconscio, si scontra con lo spirito di distruzione e di disimpegno di Tristan Tzara e nel 1922 avviene la rottura definitiva. Da questo momento anche «Littérature», che era divenuta il luogo di incontro con i dadaisti, diventa l’organo ufficiale di un movimento che intende passare all’azione. Con la pubblicazione del Primo manifesto del Surrealismo (1924) il movimento afferma la propria autonomia. Nasce una nuova rivista «La Révolution Surréaliste» che riporta i risultati delle numerose attività: testi automatici, volantini politici, resoconti di sedute, disegni, che dimostrano il tentativo di superare la fase legata all’esperienza letteraria, con lo scopo di invadere tutti i campi della vita. La scrittura automatica, affiancata dall’esperienza dei sogni e dei sonni ipnotici, diviene il mezzo attraverso cui il poeta si rivela in tutta la propria autenticità, l’ispirazione che nasce dall’inconscio del soggetto permette di esplorare la parte piú oscura di ognuno di noi, la poesia, non più considerata un mezzo di espressione, diviene un’attività dello spirito, dove tutti possono essere poeti. La negazione della nozione di opera, implicita nel concetto stesso di s, pone degli interrogativi sul ruolo degli artisti, tanto che nel 1925 Pierre Naville, dichiara che una pittura surrealista non può esistere. Breton interviene immediatamente assumendo la direzione di «La Révolution Surréaliste », sulle cui pagine si era accesa la polemica, e iniziando a pubblicare il testo Il Surrealismo e la pittura, in difesa di pittori e scultori. Egli infatti aveva già da alcuni anni instaurato rapporti fecondi con alcuni artisti che avevano gravitato intorno a Dada, come Marcel Duchamp, Francis Picabia e Hans Arp, ma soprattutto aveva individuato nel lavoro di Max Ernst, André Masson e Joan Miró, la possibilità di procedere, attraverso una scrittura automatica, alla creazione di una pittura surrealista. Nel 1926 il sodalizio con gli esponenti delle arti plastiche è sancito dall’apertura della Galleria Surrealista che inaugura con una mostra di Man Ray, un altro artista da tempo molto vicino al gruppo. Masson per primo cerca di applicare l’automatismo all’arte, realizzando numerosi disegni totalmente spontanei, con cui illustra i numeri di «La Révolution Surréaliste», dove una linea aperta e tortuosa, seguendo i percorsi di un movimento interiore, di tanto in tanto si chiude in figure, che testimoniano una realtà sconosciuta. In un secondo momento l’artista cercherà di trasferire questa libertà creativa anche ai dipinti, inaugurando, nel 1927, la serie dei tableaux de sable, senza riuscire completamente nell’intento, tanto che, diradati i rapporti, dal 1929 non partecipa piú alle iniziative surrealiste. I primi collages di Max Ernst, giunti a Parigi nel 1920, avevano suscitato vivo interesse da parte dei surrealisti, ma è con la pubblicazione del Primo Manifesto, che l’artista scopre che l’automatismo in pittura corrisponde esattamente alla tecnica del frottage, che stava utilizzando per i disegni della Histoire naturelle; nel saggio Au-delà de la peinture (1937) Max Ernst ripercorre e spiega come il frottage, prassi meccanica, possa evocare immagini che provengono dall’inconscio profondo: «in un ricordo dell’infanzia un pannello in finto mogano situato di fronte al mio letto aveva avuto il ruolo di provocatore ottico di una visione di dormiveglia, e trovandomi, con un tempo piovoso, in un albergo in riva al mare, fui colpito dall’ossessione che esercitava sul mio sguardo irritato il pavimento di legno, le cui scanalature erano state accentuate da migliaia di lavaggi. Mi decisi allora ad interrogare la simbologia di questa ossessione e al fine di aiutare le mie facoltà meditative e allucinatorie, feci una serie di disegni sulle assicelle di legno, posando su di esse, a caso, dei fogli di carta che mi misi a strofinare con la punta della matita. Osservando attentamente i disegni così ottenuti, le parti oscure e quelle in dolce penombra, fui sorpreso dall’intensificazione subitanea delle mie facoltà visionarie e dalla successione allucinante d’immagini contraddittorie che si sovrapponevano le une alle altre con la persistenza e la rapidità proprie dei ricordi amorosi». Nello stesso saggio l’artista sottolinea che anche nei collages, precedenti a questo periodo, è presente lo stesso tipo di automatismo: da un accostamento casuale di singoli elementi, nascono immagini che provengono direttamente da quel luogo profondo che Breton avrebbe definito essere il punto in cui «la vita e la morte, il reale e l’immaginario, il passato e il futuro, il comunicabile e l’incomunicabile, l’alto e il basso cessano di essere percepiti come contraddizioni». Altri procedimenti di automatismo pittorico furono inventati da Oscar Dominguez, che realizzò le «decalcomanie senza oggetto preconcetto», e da Wolfgang Paalen che si avvalse della fiamma di una candela per produrre sulla tela un reticolo di forme. Pur rimanendo in disparte e distante dagli eccessi del gruppo, Joan Miró propone un universo che pare la realizzazione grafica di situazioni deliranti: un immaginario di allucinazioni che al di fuori di ogni controllo della ragione, unisce realtà inavvicinabili. Intanto all’interno del gruppo surrealista si dibatte sull’opportunità di dare una svolta politico-sociale al movimento, impegnandosi direttamente in un’attività rivoluzionaria; la discussione sfocia nell’iscrizione al partito comunista francese di Aragon, Breton, Eluard, Péret e Unik che sancisce una presa di posizione ideologica che, finché durerà, provocherà numerose scomuniche. Molti artisti, accusati di dedicarsi con maggiore impegno alla propria opera, anziché alla causa rivoluzionaria, vengono ingiustamente allontanati da Breton che, da un lato assume atteggiamenti del tutto intransigenti nei confronti di chi aveva espresso perplessità sulla svolta politica del movimento, dall’altro polemizza con il partito comunista, riportando al centro della discussione la questione dell’inconscio e dell’importanza dell’esistenza onirica. Con il Secondo Manifesto (1929) Breton, analizzando gli esiti della prima fase del movimento, individua nella mancanza di rigore, che ha lasciato inesplorati interi campi della ricerca, il punto debole a cui bisogna porre rimedio, con una epurazione che colpisca tutti coloro che non avevano dimostrato il massimo rigore, e fra questi mette Soupault, Masson, Artaud e anche Desnos. Questo richiamo ai principî porta forze nuove all’interno del movimento; mentre dopo un breve periodo di allontanamento vengono riaccolti Yves Tanguy, il poeta degli spazi desertici e sottomarini dove sembrano vegetare esseri minerali, e Man Ray, il creatore di una serie di «oggetti surrealisti» ante litteram; appare sulla scena Salvador Dalì con il film Un chien andalou realizzato insieme a Luis Buñuel. L’anno successivo viene pubblicata la seconda rivista del movimento «Le Surréalisme au service de la Révolution» e, se da un lato ci si assoggetta alle necessità rivoluzionarie, ancora una volta, dall’altro, si ritorna ad esplorare, con l’Immaculée conception di Breton ed Eluard, gli ambiti della follia e della normalità, della demenza e del cosiddetto equilibrio. In questo contesto Dalì propone la teoria della «paranoia critica», si tratta di un metodo spontaneo di conoscenza irrazionale «basato sull’oggettivazione critica e sistematica delle associazioni e interpretazioni deliranti». Dalì espone la sua teoria in numerosi testi: La Femme visible (1930), L’Amour et la mémoire (1931), La conquête de l’irrationel (1935): «Tutta la mia ambizione sul piano pittorico consiste nel materializzare con violenta precisione le immagini dell’irrazionalità concreta e del mondo dell’immaginazione piú in generale». Questa via dell’imitazione del sogno sarà battuta non solo dal fantastico Dalì, ma anche da Magritte che, con il suo umore freddo, ripercorre esperienze oniriche, realizzando composizioni dove, all’interno di una realtà perfettamente credibile, uno o piú elementi inusuali o contraddittori provocano un senso di spaesamento e di inquietudine. A questi artisti che operano direttamente nell’ambito del sogno, si aggiungono Leonora Carrington, Dorothea Tanning, Paul Delvaux, Hans Bellmer e Félix Labisse. Continuando su questa via si apre anche la nozione di «oggetto surrealista», i riferimenti sono certamente i ready made di Duchamp e dei dadaisti, ma la diversità sta nel fatto che i surrealisti iniziano a fabbricare oggetti che sono traduzioni fisiche delle immagini dei sogni, una sorta di materializzazione dei desideri dell’inconscio. Questi oggetti che dovrebbero accompagnare la vita quotidiana, aiuterebbero ad eliminare quelle distinzioni che ancora persistono fra il sonno e la veglia e a considerare questi stati due vasi comunicanti, che interagiscono attraverso il desiderio, secondo il pensiero di Breton. Nel 1933 Breton, Eluard e Crevel vengono espulsi dal P.C.F., la rivista cessa le pubblicazioni e viene sostituita da «Minotaure» diretta da Tériade, che dedica maggiore spazio agli artisti, pubblicando le immagini delle loro opere. Inizia un periodo di grande espansione, in diversi paesi si formano gruppi surrealisti che organizzano importanti mostre come quella di Londra del 1936 o la fragorosa esposizione internazionale del s che ha luogo a Parigi alla Galerie des beaux-arts nel 1938. Problemi politici, dopo un periodo di pausa, ritornano in tutta la loro intensità: Breton incontra Trockij in Messico, Eluard si riavvicina al P.C.F., Dalì viene espulso a causa delle sue simpatie per i fascisti, poi la guerra ne provoca la diaspora. La maggior parte dei surrealisti ripara in America dove, senza fondare un vero e proprio gruppo, continua l’attività attraverso riviste come: «View» e «V V V», e mostre come First Papers of Surrealism (New York 1940). La mostra di Max Ernst a Parigi nel 1945 apre le retrospettive del dopo guerra. A questa seguono: Picabia (Parigi 1949) e ancora Ernst (Parigi 1959, Bruhl 1951). Nel 1954 Arp, Ernst, Miró vengono premiati alla Biennale di Venezia, mentre a Masson viene assegnato il gran premio nazionale delle arti. Numerose collettive offrono l’opportunità di studiare e definire un movimento così complesso, nel 1960 Breton e Duchamp organizzano a Parigi l’Esposition international du Surréalisme, nel 1964, sempre a Parigi Le Surréalisme, sources, histoire, affinités, curata da P. Waldberg è seguita l’anno successivo da L’Ecart absolu (Galerie de l’OEil). L’influenza del s sullo sviluppo dell’arte contemporanea ha avuto un’importanza fondamentale, da un lato ha contribuito ad assottigliare il diaframma fra le diverse arti, dall’altro, con la scoperta della forza creativa dell’inconscio, ha aperto la strada ad esperienze prima inimmaginabili. La spontaneità automatica ha certamente stimolato l’espressionismo astratto della scuola di New York e rinnovato l’opera di Arshile Gorky, così come i drippings di Jackson Pollock non possono prescindere dall’esperienza surrealista. Al di là di ogni considerazione storica il s non fu né una scuola estetica né una formula plastica, ma una presa di coscienza di un’attività creatrice che, esercitata attraverso la libertà totale dell’ispirazione, al di là di ogni costrizione, permette di esplorare le zone piú oscure della nostra soggettività, per un’esistenza migliore. |