|
|
|
|
Espressionismo
1905 - 1925 |
|
L'arte tedesca del primo novecento che chiamiamo espressionismo ha avuto in realtà dei focolai in Francia (fauvismo) e in Germania (Die Brucke). I due movimenti quasi contemporanei sbocciano nel Cubismo in Francia (1908) e nel Blaue Reiter (il cavaliere azzurro) in Germania (1911) e nascono come opposizione all'impressionismo. Se l'impressione è un moto dall'esterno all'interno (sensitivo) l'espressione lo è dall'interno verso l'esterno (volitivo). Tutt'e due però esigono che l’artista si occupi della realtà: il primo sul piano della conoscenza il secondo su quello dell’azione; fuori da tentazioni (simbolistiche) ti cercare qualcosa al di là del reale. Si formano due tendenze: l’espressione, a differenza del simbolismo, presume la comunicazione.
(EE)- Tendenza artistica che si sviluppò tra la fine del xix sec. e il 1925 ca., ma soprattutto nell’atmosfera di disagio e di turbamento che precedette la guerra del 1914; dal punto di vista pittorico, essa si presenta come una netta reazione all’impressionismo, di cui si rifiutavano l’obiettività e l’ottimismo scientistico. Terra d’elezione dell’e è stata la Germania con Conrad Fiedler, Theodor Lipps e Worringer, del quale esce nel 1908 Abstraktion und Einfühlung; con loro l’accento si sposta sull’irriducibile determinazione del creatore (innerer Drang, o inner necessity, l’«esigenza interiore», principio fondamentale che Kandinsky riprenderà), nonché sul processo di deterioramento dei rapporti tra uomo e mondo esterno, tradito dal grado piú o meno estremo di stilizzazione astratta. L’e matura in anni in cui si trasformano i riferimenti culturali: l’intera Europa riscopre i suoi «primitivi», le arti di popoli lontani (Africa Oceania, America settentrionale, Estremo Oriente) soppiantano il classicismo greco-romano. I tedeschi recuperano il gotico e Grünewald (prima monografia nel 1911), i belgi Bruegel, i francesi gli affreschi romanici e i dipinti del xv sec. Si riscopre El Greco. La varietà delle sollecitazioni spiega la diversità delle opere, tanto piú che i precursori immediati dell’e provengono da orizzonti assai disparati. I precursori Il norvegese Edvard Munch, l’olandese Vincent van Gogh, il belga James Ensor, cui può aggiungersi il francese Toulouse-Lautrec, hanno contribuito al formarsi della temperie degli anni a cavallo del secolo. Ensor fu il piú precoce, eseguendo nel 1888 l’Entrata di Cristo a Bruxelles (Malibu J. P. Getty Museum), violenta satira dal colore squillante, la cui risonanza fu però limitata. L’opera di V. van Gogh ha conosciuto maggiore diffusione e ha fornito una piú vasta base teorica, col conferire al colore una potenza simbolica ed espressiva ancora inedita (Campo di grano con corvi, 1890: Amsterdam, Museo Van Gogh). Munch evidenzia perfettamente gli stretti rapporti che intercorsero agli inizi tra simbolismo ed e (come Hodler in Svizzera e Klimt in Austria), e il Grido (1893; Oslo, ng), che è un manifesto vero e proprio, deve la propria efficacia non meno alle stilizzazioni grafiche dello Jugendstil che alla nuova concezione della forma e del colore. L’idea di considerare Lautrec un precursore dell’e potrà forse sorprendere, ma una parte della sua tematica, il suo gusto dell’ellissi, lo stridore della tavolozza ne fanno, sotto molti aspetti, un fratello spirituale dei tedeschi (la Donna tatuata, 1894; Berna, coll. priv.). Quel che avvicina tali artisti è, da un lato, l’importanza dell’esperienza vissuta, il doloroso inserimento nella società, e dall’altro, dal punto di vista tecnico, il primato conferito al colore.La Germania: Die Brücke (1905-13) è notevole che, nella Germania guglielmina, l’idealismo postromantico di Marées e di Böcklin abbia potuto toccare piú la giovane generazione che i rappresentanti apparentemente piú moderni dell’impressionismo tedesco: Slevogt, Liebermann e lo stesso Corinth. Equivaleva a conferire maggiore interesse al disegno e all’impianto che al tocco, mentre il rinnovamento dell’arte grafica induceva a studiare le incisioni su legno del xv e xvi sec., e l’arte gotica veniva considerata tipicamente germanica (Worringer: Formprobleme der Gotik, 1911). Ma anche le lezioni straniere davano frutti: Munch espone a Berlino nel 1892 con grande clamore; all’inizio del secolo, Gauguin, Cézanne, Lautrec, Van Gogh vengono esposti a Berlino (1903), a Monaco (1904), a Dresda (1905). L’impatto con Gauguin acuí il tema della nostalgia del paradiso perduto, dell’unione tra uomo e natura in un universo liberato da ogni ipocrisia e dalla nozione di peccato. Prima dei pittori di Die Brücke, Paula Modersohn-Becker, che fece parte del gruppo simbolista di Worpswede, si ispirò a Gauguin per tradurre un’espressività ancora contenuta e meditativa. Ma a Dresda alcuni giovani artisti come Kirchner, Heckel, Schmidt- Rottluff, Pechstein trassero da tutti questi suggerimenti sollecitazioni molto forti che si tradussero in una pittura di grande sintesi espressiva. Die Brücke si qualifica per il lavoro strettamente comunitario, l’importauza e la qualità delle realizzazioni grafiche (soprattutto incisione su legno), il colore ripartito in zone piatte, e un erotismo deliberato (Kirchner, Donna con divano azzurro, 1910: Minneapolis, Inst. of Art, Schmidt-Rottluff, Due donne, incisione su legno, 1910). Per alcuni anni Die Brücke riuscí a conciliare le due tendenze conflittuali che avevano già contrapposto Gauguin e Van Gogh: la solitudine nella natura e gli intimi scambi a livello di gruppo. Proprio quest’ultimo aspetto doveva respingere Emil Nolde, molto piú anziano, e attivo nel gruppo dal 1906- 1907; le sue ricerche testimoniano un tormento religioso del tutto estraneo ai suoi giovani compagni. Nolde traduce in segni potenti il suo misticismo di fondo (Leggenda di Maria Egiziaca, 1912: Amburgo, kh). Die Brücke era relativamente isolata a Dresda; nella scia di Pechstein, gli altri artisti si stabilirono a Berlino, ove dovevano trovare un ambiente assai piú aperto. Esposero presso Herwarth Walden, nella galleria Der Sturm, che doveva ben presto imporre universalmente il termine ‘espressionismo’. Esso viene riferito nel 1911 a una scelta di tele di fauves fran- cesi presentate alla Secessione berlinese. La rapidità degli scambi e delle trasformazioni, oltre al ruolo svolto da Walden, dovevano contribuire non poco a rendere la nozione di e assai complessa; nel 1912 vengono qualificate come «espressioniste» tre mostre organizzate da Der Sturm in cui comparivano opere assai diverse: tedesche (Der Blaue Reiter), francesi (Braque, Derain, Friesz, Vlaminck) e belghe (Ensor, Wouters). Der Blaue Reiter presentava omogeneità ancora minori di Die Brücke, ma era allora la punta dell’avanguardia tedesca. Sono poche le analogie tra Kandinsky, Marc, Jawlensky e Macke. Il denominatore comune è il ruolo del colore, ma ciascuno lo concepisce a suo modo: emancipazione del soggetto per Kandinsky, legato ad una simbologia panteistica per Marc, concezione della forma nello spazio in Macke, spiritualità per Jawlensky, piú vicino a Die Brücke nella sua predilezione per il tema del volto umano. L’e, «colorazione particolare dell’anima» (secondo lo scrittore Ivan Goll), conosce in questo periodo accezioni diverse. La messa a nudo del carattere e del dramma umano va di pari passo col desiderio acuto di rinnovare il meccanismo della percezione. I contatti con il futurismo a Berlino (Der Sturm, 1912) vi introdussero un altro elemento: un ritmo febbrile, che travolgeva forme e concetti e rifletteva il clima della guerra imminente, testimoniato soprattutto da Ludwig Meidner, fondatore del gruppo Die Pathetiker. Una simile accelerazione doveva necessariamente cogliere di sorpresa i membri di Die Brücke. Mentre Pechstein seguiva l’esempio di Matisse, Kirchner, nella scia di Munch, esprimeva la sua angoscia della metropoli; Heckel, dopo aver meditato Cézanne e Delaunay, conferiva al paesaggio una trasparenza nuova. I primi studi generali sull’e appaiono nel 1914 e nel 1916, e sono rispettivamente dovuti a Paul Fechter, a Hermann Bahr e allo stesso Walden. In quell’epoca mal si distinguono le antinomie tra cubismo o futurismo e movimento tedesco: ciascuno è in qualche modo una sfaccettatura di un medesimo slancio di emancipazione nei riguardi del naturalismo. L’accento posto sull’opera di Cézanne, recentemente scoperta e considerata una delle fonti dell’e, potrebbe peraltro sorprendere. Il fatto è che tali tentativi di sistematizzazione corrispondono ai vasti confronti internazionali che ebbero luogo in Germania poco prima della guerra, nell’esposizione del Sonderbund (Colonia, 1912; panora- ma di ricerche sul colore) e nel primo salone d’autunno tedesco a Berlino (Der Sturm, 1913). L’espressionismo viennese A Vienna l’e presenta maggiore coerenza. Ne è causa in parte il simbolismo di Klimt, le cui intenzioni si concretano in un disegno, spesso al servizio di un intenso erotismo, e in parte quello di Hodler (che espose alla Secessione viennese nel 1903). L’efficacia dell’immagine poggia in ambedue i casi su una tensione grafica portata all’estremo, spesso deformante, il cui erede doveva essere soprattutto Egon Schiele. Schiele, improntato da Van Gogh (esposto a Vienna nel 1906), ne riprese il profondo sentimento di frustrazione sessuale e d’isolamento irrimediabile, che d’altra parte si attenuarono fortemente una volta sposatosi l’artista (Nudo seduto col braccio alzato, 1910; Vienna, coll. priv.). Oskar Kokoschka infine garantisce il collegamento tra Vienna e Berlino, ove operò per Walden. Meno aspro di Schiele, ma di lui piú ricettivo tra il 1907 e il 1914 produce una serie di ritratti disegnati e dipinti, che sono autentici tentativi d’introspezione (Herwarth Walden, 1910: Stoccarda, sg); ma la cui immediata leggibilità è assai lontana dalle trasposizioni di Die Brücke o di Jawlensky. Espressionismo e fauvisme I tedeschi giudicarono i fauves espressionisti quando conobbero i loro quadri. Confronti piú recenti (Il Fauvisme e gli esordi dell’Espressionismo tedesco Paris-München 1966) hanno consentito di meglio definire i termini di una simile identificazione. In primo luogo i f auves sono soprattutto pittori; e gli espressionisti tedeschi incisori. In Francia il modo di stendere il colore è assai diverso, e cosí pure lo spirito stesso della pittura è di una lievità ancora naturalista. Talvolta peraltro i fauves hanno raggiunto una convincente intensità espressiva: Vlaminck assai presto (Al banco, 1900: conservato ad Avignone); Matisse soprattutto nel 1906 (Gitana: a Saint- Tropez) e nel 1909 (Algerina: Parigi, mnam; Nudo, paesaggio soleggiato: San Francisco, coll. priv.), nel periodo in cui il suo sforzo di semplificazione delle forme si apparenta alle stilizzazioni di origine grafica di Die Brücke, Derain in particolare nel notevole piccolo quadro Personaggi in un prato (1906-1907: Parigi, mamv); Van Dongen, con piú spontanea spigliatezza (Anita, 1905: coll. priv.). Derain ha anch’egli inciso su legno, con maggiore perseveranza e successo di Matisse (ispirandosi al periodo «negro» di Picasso: illustrazioni per l’Enchanteur pourris- sant di Apollinaire, 1909), e anche Vlaminck, le cui tavole ricordano, per l’equilibrio tra bianchi e neri, quelle dei tedeschi (il Ponte di Chatou, 1914 ca.). Rouault è invece un’individualità al margine, la cui situazione in Francia è assai simile a quella di Nolde in Germania. Prima del 1914, egli si esprime al meglio nei grandi acquerelli consacrati a temi religiosi (Ecce homo, 1905: New York, coll. priv.) oppure ispirati dallo spettacolo spietato della vita (Ragazza allo specchio, 1906: Parigi, mnam). Il periodo della guerra La prima guerra mondiate sconvolse il movimento espressionista, la cui stessa complessità poteva farne prevedere la dissoluzione. Un conflitto di quattro anni conturbava le posizioni artistiche acquisite, e si venivano imponendo altri atteggiamenti rispetto all’arte del vivere, il piú netto dei quali, nell’affermare una rottura radicale col passato, era quello di Dada a Zurigo. Gli artisti allora piú rappresentativi traducevano le proprie reazioni personali, per esempio Kirchner e Kokoschka ambedue traumatizzati dalla guerra, nei loro patetici autoritratti (Kirchner, Autoritratto da soldato, 1915: Saint Louis, coll. priv.; Kokoschka, Autoritratto, 1917: Wuppertal, coll. priv.). Kandinsky era in Russia, Jawlensky in Svizzera, Marc e Macke erano scomparsi durante la guerra. Questi svariati fenomeni di dispersione indicano che la giovane generazione doveva partire da premesse diverse. Futurismo e dadaismo intervengono nei primi quadri di Grosz e di Dix, mossi da un acceso antimilitarismo. La rivendicazione sociale, il bisogno di trasformare la società, le cui contraddizioni l’e aveva appena denunciato, ispirano quadri come i Funerali di Oscar Panizza di Grosz (1917-18: Stoccarda, sg), mentre gli Autoritratti di Dix (1914-15) preludono al feroce repertorio d’immagini degli anni ’20. Max Beckmann era stato in un primo tempo piuttosto ostile all’e, e la Strada del 1914 (coll. Mathilde Beckmann) contrasta fortemente con le contemporanee scene berlinesi di Kirchner. L’esperienza della guerra gli ispirò successivamente numerose grandi composizioni, il cui impianto complesso e la cui veemenza derivano dalla pittura gotica; la Notte ( 1918-19: Düsseldorf, knw), capolavoro di questa serie, è sintomatica della confusione e dell’angoscia che imperavano in Germania alla fine della guerra. Eccellente incisore, soprattutto a punta secca, Beckmann resta fedele in ciò alla tradizione espressionista, e s’impegna a scrutare il proprio stesso viso (Fumatore, 1916; Autoritratto a bulino, 1917), ma già con un intento di obiettività, con una distanza rispetto a se stesso che sono altrettanti segni di un’irreversibile evoluzione. Mentre in Germania si verificavano questi importanti mutamenti, i paesi a nord della Francia (Belgio e Olanda) dànno vita ad altri filoni del movimento espressionista. In Belgio il punto di partenza si colloca nella colonia di artisti di Laethem-Saint-Martin, ove prima del 1914 si raccoglievano Servaes, Van de Woestyne, De Smet, Van den Berghe, Permeke. A Laethem regnava un simbolismo primitivistico illustrato soprattutto da Van de Woestyne e dallo scultore e disegnatore Georges Minne. La mostra dei primitivi fiamminghi (Bruges, 1902) e soprattutto l’alta figura di Bruegel ebbero un ruolo importante nella rivalutazione di soggetti popolari (Servaes, Raccoglitori di patate, 1909: Bruxelles, mrba). La guerra disperse gli artisti: mentre Permeke, ferito, va in Inghilterra, De Smet e Van den Berghe si rifugiano ad Amsterdam. Il primo esegue in Inghilterra alcuni grandi quadri, considerati poi i manifesti dell’e in Fiandra, nonostante essi rivelino nell’impaginazione un forte legame con il simbolismo (lo Straniero, 1916: ivi). Gli altri due pittori trovano ad Amsterdam un ambiente assai piú aggiornato sulle innovazioni europee di quello di Laethem. Il francese Le Fauconnier, di formazione cubista, diede vita (dal 1915 al 1918 ca.) a un e a carattere onirico o sociale assai personale (il Segnale, 1915). Parallelamente a Le Fauconnier, l’olandese Jan Sluyters ebbe tra il 1915 e il 1917 una breve parentesi espressionista, che trae spunto dal piccolo villaggio di Staphorst; l’influsso del periodo olandese di Van Gogh e quello del cubismo si fondono in abile sintesi (Famiglia di contadini di Staphorst, 1917: Haarlem, Museo Frans Hals). I belgi scoprirono anch’essi, attraverso le riviste, l’e tedesco e l’arte negra. De Smet scelse come Sluyters un luogo privilegiato, Spakenburg, villaggio di pescatori del Zuideræe, e dal cubismo trasse la semplificazione del disegno (Donna di Spakenburg, 1917: oggi ad Anversa). Van den Berghe si accosta a Die Brücke; interessato all’arte negra, produsse in quest’epoca potenti incisioni su legno (Attesa, 1919). Fra le due guerre (1919-39) Questo periodo vide da un lato la fine dell’e propriamente detto in Germania, e dall’altro il costituirsi, partendo da altre fonti e su temi diversi, di tendenze espressionistiche periferiche. Germania II declino dell’e pittorico corrispose all’estendersi del movimento, che dopo la guerra conquista il teatro ed il cinema: lo stile delle scenografie è ispirato dai quadri. Le condizioni politiche e sociali sono in Germania tali da orientare l’interesse dei giovani artisti verso una forma di testimonianza piú legata alla realtà contemporanea, a detrimento della soggettività. La tensione dell’e delle origini si smorza Schmidt-Rottluff resterà uno degli artisti piú fedeli allo stile della sua giovinezza (Uomo che passeggia per la strada, incisione su legno, 1923), mentre Kirchner lascerà una produzione diseguale, fino al suicidio nel 1938. Dix ha dato senza dubbio le immagini piú violente del dopoguerra (fino al 1923), quelle di un mondo di sfruttatori e di prostitute a contatto di gomito con miserabili vittime (i Giocatori di skat o Mutilati di guerra che giocano a carte, 1920: coll. priv.). Questa visione dell’atroce culmina nella Trincea (1920-23, scomparsa durante la seconda guerra mondiale), ma ci si avvede già che le semplificazioni equilibrate dell’anteguerra sono state totalmente sostituite dall’eccesso descrittivo ipernaturalistico. Nel 1923-24, le cinquanta acquaforti della Guerra offrono il documento piú implacabile sul conflitto (Ferito che torna nelle retrovie, battaglia della Somme). L’evoluzione di Grosz fu ancor piú rapida; membro del club Dada di Berlino, considerava la caricatura un’arma; in lui la lotta politica prevalse sulla creazione di nuovi mezzi espressivi. Beckmann svuotò progressivamente le sue composizioni, a profitto di uno stile piuttosto statico, insieme evocativo e freddo (Ballo a Baden-Baden, 1923: Monaco, coll. priv.). Un linguaggio analogo viene adottato da Carl Hofer nei suoi quadri di saltimbanchi, di tristi clown abitatori di un universo astratto tagliato fuori dalle sue fonti vive, simile a quello della repubblica di Weimar (Gente del circo, 1922 ca.: Essen, Folkwang Museum). Con una diversa modalità, Käthe Kollwitz e Barlach contribuiscono ambedue con l’opera grafica al clima particolare di questo periodo. Il lungo itinerario di K. Kollwitz l’ha condotta, attraverso i suoi disegni ed incisioni, dal realismo simbolista della fine del xix sec. a un e di testimonianza e di lotta a favore degli oppressi (la Vedova, incisione su legno, 1922-23 ca.); Barlach, molto improntato dalla scultura gotica, subisce in particolare la persecuzione nazista a causa del pessimismo dei suoi tipi popolari (Vecchia con bastoni; la Falciatrice, disegni, 1935). Ma questi due artisti appartenevano ancora al xix sec. nei primi anni della loro carriera. Il fenomeno nuovo, di cui si prende coscienza tra il 1924 e il 1925, è l’abbandono dell’e per una Nuova Oggettività (Neue Sachlichkeit) o di un realismo magico stilisticamente contrapposto all’e su tutti i punti, e del quale diverranno capofila Dix soprattutto, poi Beckmann e Grosz. A quest’arte di constatazione, che esaspera taluni effetti fino all’insolito, risponde nel medesimo momento la nascita del surrealismo, che in qualche misura doveva svolgere, almeno del suo aspetto di «premonizione », il medesimo ruolo svolto dall’e prima del 1914. Belgio Dopo la guerra il Belgio conobbe invece, col ritorno dei vecchi pittori di Laethem lo sviluppo di un coerente movimento espressionista. La rivista «Sélection» e la galleria omonima, a Bruxelles, patrocinarono l’e «fiammingo », cosí denominato per analogia con la Germania. Ma la prima mostra (agosto 1920) rendeva omaggio al cubismo e alla scuola di Parigi. Il fatto fondamentale del dopoguerra è che si estrapolano dal cubismo disciplina e vigore espressivo, come fino a poco prima si era chiesto al colore che esaltasse l’espressione delle sensazioni e dei sentimenti. L’aspetto sociale esiste nei fiamminghi quanto in Germania, ma in Permeke, De Smet, Van den Berghe, Tytgat è piú rurale che urbano. Permeke è l’unico a conferire ai suoi personaggi una dimensione monumentale (il Pane nero, 1923: Gand, coll. priv.; il Guardiacaccia, 1927: Courtrai, coll. priv.), mentre le scene di genere sono piú numerose in lui che nei suoi compagni (De Smet, la Vita nella fattoria, 1928: Bruxelles, coll. priv.). Non mancano le analogie con alcuni pittori stranieri impegnati in una figurazione moderna, come Léger in Francia e Schlemmer in Germania, che non si saprebbe come collocare nell’e, mentre Van den Berghe adottò prestissimo elementi frequenti nel realismo magico o nel surrealismo (serie di guazzi sul tema della Donna, 1925). Frans Masereel, incisore su legno, ha denunciato con rara fedeltà le tare dell’epoca, la metropoli divorante; ma le sue immagini non si attengono alla trasposizione realistica, cui ambivano invece gli incisori tedeschi prima del 1914 (la Città, cento legni, 1925: Parigi). Dopo il 1930 la saturazione del mercato artistico, il ritorno offensivo del realismo e il successo stesso del movimento sono cause del declino dell’e fiammingo; tuttavia Permeke continuò ad arricchire il suo mondo col ciclo rustico di Jabbeke, ricollegandosi alla grande tradizione di Bruegel e di Van Gogh (il Mangiatore di patate, 1935: Bruxelles, mrba). I paesaggi brabantini di Jean Brusselmans, ostile a Permeke, offrono una delle ultime manifestazioni dell’e, e preannunciano l’astrattismo del secondo dopoguerra. In margine al movimento, Servaes creò tra il 1919 e il 1922 una serie di opere religiose che rinnovavano l’espressione moderna dell’«arte sacra», come avevano fatto Rouault in Francia e Nolde in Germania, le sue forme esangui, sprigionate da una rete grafica aggrovigliata, fecero scandalo (Via crucis disegnata e dipinta; due Pietà: Bruxelles, mrba). Olanda Le Fauconnier diede vita alla scuola di Bergen, con Sluyters, Leo Gestel e Charley Toorop; ma si avvicinarono, in breve tempo, alle posizioni della Neue Sachlichkeit tedesca. Nel 1918, a Groningen, H. N. Werkman e Jan Wiegers fondano il gruppo De Ploeg (L’aratro). Werkman scelse una figurazione assai spoglia, quasi astratta, Wiegers, legato a Kirchner, si orientò verso un e vicino a quello di Die Brücke (Paesaggio con alberi rossi: Amsterdam, sm). Herman Kruyder, altro esponente di rilievo dell’e olandese, gravita nell’area fiamminga come De Smet e Van den Berghe. Un poco piú tardi Hendrik Chabot ha trattato, con uno stile aspro, soggetti vicini a quelli di Permeke (l’Ortolano, 1935: ivi). Francia Tra il 1920 e il 1930 anche in Francia l’e matura sull’esperienza cubista. La ricerca di una sobrietà esemplare nell’espressione comportò qualche ambiguità: i quadri di Dufresne degli anni 1918-20, di calma possenza e dai colori sobri prefigurano in modo sorprendente lo stile dei fiamminghi: il Meccanico di Léger (1920: Ottawa, ng) è una figura archetipica, pressoché unica nell’opera del maestro, ma i cui discendenti immediati sono i personaggi di Gromaire e soprattutto di Permeke. Tali premesse consentono di scoprire per qualche anno un certo numero di affinità tra fiamminghi e francesi. I primi quadri di Goerg, per la voluta stilizzazione, ricordano le tele fiamminghe contemporanee (gli Importanti, 1922 ca.: Parigi, coll. priv.); ma l’opera dell’incisore doveva prevalere, con un accento satirico che non risparmia alcun aspetto della vita sociale del tempo (la Gaîté Montparnasse, acquaforte, 1925). Gromaire ha sempre protestato contro la qualifica di «espressionista», che collegava alla cultura germanica; tuttavia un certo numero di suoi quadri – che trasfigura- no il soggetto in simbolo, facendone il fulcro emozionale – ben corrispondono all’e del dopoguerra (Lotteria alla fiera, 1923: Parigi, mnam). La serie di dieci legni incisi Homme de troupe, eseguita alla fine della guerra, è di rara potenza suggestiva. Il ritorno ai temi sociali è un fenomeno comune alle varie tendenze europee: temi contadini (La Patellière), urbani (Gromaire, Goerg), che fustigano la vita facile della borghesia o portano l’attenzione sulla condizione proletaria. Sotto questo aspetto l’Apprendista operaio di Rouault (1925: Parigi, mnam) è un quadro rivelatore dello spirito del momento, e si distingue entro un’opera impegnata in una definizione umana piú generale (serie litografata del Miserere). Il tema della prostituta di bordello torna frequentemente, piú o meno interpretato, da Rouault a Pascin ed a Fautrier, la cui impressionante serie di nudi eseguita nel 1926-27 costituisce uno dei complessi piú originali. Intorno al 1930 viene a cadere questa relativa omogeneità di soggetti o di stili. Si deve attendere la guerra di Spagna per ritrovare un’ardente volontà di testimonianza che assoggetti le forme alle esigenze espressive. L’opera fondamentale diviene Guernica di Picasso (1937: Madrid, Prado), accompagnata da numerosi studi, il piú loquente dei quali è Donna che piange (1937: Londra, Tate Gall.). Sottraendosi totalmente alle categorie sociostoriche che abbiamo tentato di definire, l’e picassiano si era manifestato precocemente (Figure in riva al mare, 1931: Parigi, Museo Picasso) con esemplare invenzione e virulenza, fecondata dai contatti dell’artista col surrealismo. Tra le reazioni suscitate dal conflitto spagnolo vanno citati la serie dei Massacri di Pierre Tal Coat (1937), i Goerg del 1938 (le Sventure della guerra: Parigi, coll. priv.), confrontabili con le tele piú esacerbate di Dix, i bulini di H. G. Adam (il Dolore, 1938: Parigi, bn). Pittura e rivoluzione nel Messico Nel corso del medesimo periodo, soltanto la coerenza dei messicani Rivera, Siqueiros, Orozco, Tamayo e, in grado minore, dei brasiliani Portinari e Segali, corrisponde a quella del gruppo fiammingo. Pur riferendosi come i fiamminghi alla loro terra tradizionale, esaltando le proprie origini indie, i messicani vi aggiungono però una dimensione rivoluzionaria e sociale che li conduce ad essere piú decoratori (grandi affreschi murali) che pittori di cavalletto. Nelle loro tele piú riuscite, uguagliano la liricità di Permeke (Rivera: la Sgranatrice, 1926: Città di Messico, coll. priv.). I cicli di decorazioni murali inaugurati da Rivera nel 1921 nella scuola nazionale preparatoria di Città di Messico hanno avuto il merito di rimettere in auge la pittura monumentale; tuttavia, malgrado l’interesse del disegno e l’evidente dignità dei temi (lotta del proletariato, glorificazione del lavoro umano), troppo spesso un enfatico realismo prevale sulle esigenze stilistiche (Rivera: scuola nazionale di agricoltura di Chapingo, 1927; Orozco: università di Guadalajara, 1936). Tamayo, piú giovane, evitò d’impegnarsi in un folklore che implicava una certa sottomissione alla visione convenzionale; in lui l’influsso di Picasso fu liberatorio (il Cantore, 1950: Parigi, mnam). Portinari e Segali svilupparono in Brasile un e analogo, ove la tensione acuta del disegno e la violenta stilizzazione delle forme richiamano, anche qui, Picasso (Portinari: Sepoltura nell’amaca, 1944 San Paolo, mac). (mas + sr). Italia In Italia l’e ha rappresentato una realtà piuttosto marginale, pur essendo noto a molti artisti. Le concitate sperimentazioni futuriste da una parte, il simbolismo divisionista e il classicismo accademico, dall’altra, si dividevano l’attenzione degli intellettuali e degli addetti ai lavori, lasciando poco margine ad una cultura figurativa tanto poco in sintonia con le tradizioni locali. Ciò nonostante traluce, in alcuni pittori, un’attenzione particolare verso certi aspetti del linguaggio o delle tematiche piú inquietanti dell’e. Primo tra tutti, Umberto Boccioni, le cui opere tra il 1908 e il 1910 mostrano segni evidenti di un forte interesse per la pittura di un Ensor o di un Munch (Il lutto 1910: coll. priv.). Su di un versante del tutto diverso Gino Rossi si è appropriato, negli anni 1908-14, di alcuni caratteri tra i piú squisitamente pittorici del movimento tedesco, vale a dire quella riduzione di volumi a sintesi cromatiche aspre. L’e di Lorenzo Viani, invece, si cala in una vocazione di impegno sociale a cui la forte aggressività dei modelli nordici offre un’occasione piú adeguata di esplicazione. All’interno delle biografie artistiche di altri artisti ancora è possibile individuare momenti di riflessione su quanto l’e aveva elaborato ma non si tratta mai di adesione a una qualche corrente del movimento |
|
|
|