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Donato Bramante, tempietto di San Pietro in Montorio
1502 - Roma
Rinascimento
1502 c. Non essendoci problemi statici, date le ridotte dimensioni dell'edificio, Bramante ha potuto sperimentare con libertà le soluzioni architettoniche che adotterà poi, in più vasta scala, nelle opere successive. La funzione è commemorativa in quanto sorge sul luogo dove si credeva fosse stato crocifisso san Pietro ma voleva anche essere simbolo della chiesa, di cui Pietro fu fondatore. Bramante teorizzava, per dare uniformità urbanistica alla città, una ricostruzione di Roma fondata su alcune tipologie di edifici antichi in base alle teorie vitruviane ed agli studi archeologici. Nel tempietto il modello di riferimento è appunto il tempio classico a pianta centrale (vedi quello di Vesta) mentre nella metologia progettuale vengono attuate le teorie della composizione modulare formulate da Vitruvio. L'unità architettonica di base, la colonna, funge da modulo per uno sviluppo armonico degli elementi e per il loro rapporto con lo spazio circostante. Usa colonne tuscaniche poggiate su di un plinto ininterrotto, il tutto su tre gradini, tre "dischi" concentrinci, così da forzare la spinta verso l'alto culminante nella cupola che conclude in verticale il corpo centrale, al di là della balaustra. E' chiaro che la struttura dipende da un centro simbolico, che diventa dato architettonico. Già Sebastiano Serlio aveva notato come le linee costruttive del profondo strombo delle finestre confluissero al centro dell'edificio. Il concetto di "centralità" doveva essere rafforzata, tra l'altro, da un porticato anulare a colonne che, in un progetto originario, avrebbe circondato l'intero edificio. (Al) |
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