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Gian Lorenzo Bernini (1598 - 1680)
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Soprattutto architetto e scultore, ma anche pittore, scenografo, autore teatrale, è stato il genio, riconosciuto, dell'arte del seicento. In Bernini, come prima in Annibale Carracci, la capacità dell'uomo di immaginare ha un importanza fondamentale. Ed il compito dell'artista è quello di sviluppare una tecnica eccezionale, che gli consenta di trasformare in realtà concreta il pensiero creativo dell'uomo che è vitale; mentre il reale, come dimostrava Caravaggio, presenta spesso un alone di mistero e di morte. Per fare ciò l'artista deve stabilire un rapporto con la realtà sociale e politica in cui vive e deve averne il suo appoggio. A Roma l'unione di Stato e Chiesa ha rappresentato l'ambiente ideale per lo sviluppo dell'arte del Bernini, ciò che non si è verificato invece nel suo breve soggiorno a Parigi, quando fu chiamato da Luigi XIV.
In scultura, nel dimostrare che la tecnica può concretizzare l'immaginazione, realizza opere perfette. In questo modo invece che esaltare la natura finisce per distruggerne il significato (Argan), dimostrando che non c'è nulla che l'uomo non possa rifare. Appare chiaro che, con una simile impostazione, il suo interesse è per la realtà sensibile, non per quella ideale. Bernini, Gian Lorenzo
(Napoli 1598 - Roma 1680). L’attività pittorica del grande
scultore-architetto fu relativamente ridotta; tuttavia la sua
produzione – in prevalenza ritratti e autoritratti: due a Roma
alla Gall. Borghese, 1622 e 1625 ca.; uno a Montpellier,
Museo Fabre; l’Urbano VIII, 1624-25, della Gall. Barberini
– rivela la sua grande intelligenza della pittura contemporanea.
Sostanzialmente fu un «neoveneto» e guardò a Sacchi,
Lanfranco e Poussin. Gli sono stati attribuiti talvolta dipinti
assegnati anche a Velázquez (come il Ritratto virile della Pinacoteca
Capitolina di Roma). Le fonti, confermate dalla
letteratura critica piú recente, gli assegnano l’ideazione e la
parziale esecuzione di due grandi pale d’altare, materialmente
condotte a termine dal suo allievo Carlo Pellegrini: la
Conversione di san Paolo, 1635: Roma, Cappella dei Re Magi
a Propaganda Fide; e Il martirio di san Maurizio, 1636-40:
Roma, già in San Pietro, Cappella del Sacramento; oggi nello
Studio del mosaico in Vaticano. La ricchissima attività
grafica è quasi sempre in rapporto con sculture e progetti architettonici,
ma non mancano studi e schizzi figurativi (La
predica del Battista: Lipsia, mbk; La moltiplicazione dei pani:
Roma, Istituto nazionale per la grafica) e vari ritratti (Roma,
bv, archivio Chigi) e caricature (ivi). Nel 1664 si pubblicò
a Roma il secondo volume delle Prediche di Gian Paolo
Oliva, con frontespizio del B inciso da François Spierre.
A costui si deve anche la traduzione in stampa del Sanguis
Christi (1670). In queste bellissime prove grafiche della sua
tarda attività B esibisce un segno singolarmente affine ai modi
del Gaulli. (sr). (Bernini pittore - E. Einaudi) Bernini, Gianlorenzo (1598-1680). È la figura dominante
del barocco a Roma; fondamentalmente (come michelangelo)
scultore, fu genio quasi altrettanto universale,
esercitando inoltre non soltanto l’arch., ma anche la pittura
e la poesia. Nacque a Napoli da madre napoletana e
padre fiorentino, Pietro B., scultore tardomanierista di
second’ordine. La famiglia si trasferí a Roma v 1605. A
Roma B. trascorse tutta la propria vita di lavoro, e nessun’altra
città reca un’impronta altrettanto netta della visione
e della personalità di un uomo solo. I suoi ed., come
le sue sculture, esprimono appieno la grandiosità, l’esuberanza,
la sentimentalità della Controriforma. A vent’anni
era già scultore famoso; la sua carriera di arch., lunga e
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sempre fortunata, comincia con l’elezione al soglio di Urbano
VIII (Barberini), nel 1623. Sei anni dopo B. viene
nominato arch. di San Pietro. Costruí però la maggior
parte delle sue opere importanti in età matura, principalmente
sotto il pontificato di Alessandro VII Chigi (1655-
1667). In quegli anni la sua fama era tanto grande che
Luigi XIV lo pregò di recarsi a Parigi per l’ampl. del palazzo
del Louvre. A differenza del suo ombroso contemporaneo
e rivale borromini, era persona equilibrata e di
temperamento estroverso, cortese nel tratto e sicuro di sé;
pure, era devoto e profondamente religioso; fervido adepto
dell’insegnamento dei Gesuiti, praticava regolarmente
gli «esercizi spirituali» di Sant’Ignazio. In lui si concertavano
in grado eccezionale la genialità artistica rivoluzionaria
e la capacità organizzativa dell’uomo d’affari.
Suoi primi incarichi (1624) furono il rifacimento di
Santa Bibiana e il baldacchino nella basilica di San Pietro.
La chiesa di Santa Bibiana, benché costituisca un esperimento
interessante, manca di sicurezza, in modo assai
poco caratteristico di B. e del tutto in contrasto con l’ardita
originalità del baldacchino (1624-33), da lui eretto
sotto la cupola michelangiolesca all’incrocio della basilica.
Con le gigantesche colonne tortili in bronzo, le volute vivaci
e ariose, le dinamiche sculture, questo risonante capolavoro
costituisce in realtà il simbolo stesso dell’epoca:
della sua grandiosità, della sua opulenza, della sua incontinenza
formale. Esso celebra, sublimando il tema delle colonne
tortili già impiegate nella precedente basilica costantiniana
di San Pietro e provenienti, secondo la tradizione,
dal tempio di Gerusalemme, la continuità della
Chiesa e il suo trionfo sulla Riforma.
Seguirono vari altri incarichi: la facciata e la scalinata
di Palazzo Barberini (1629-32), ove successe al maderno;
il restauro (1652-56) della cappella Chigi in Santa Maria
del Popolo (in. da raffaello) ed altri lavori nella stessa
chiesa (1655-1657; bramante; c. fontana); il restauro di
Porta del Popolo (1655); la cappella Cornaro in Santa
Maria della Vittoria (1644-52). In quest’ultima opera, i
marmi policromi, la manipolazione prospettica, ogni espediente
di illuminazione e di illusionismo teatrale vengono
sfruttati per rafforzare l’effetto drammatico della statua
di Santa Teresa in estasi, collocata sopra l’altare e quasi
entro un arco scenico. Soltanto verso i sessant’anni, tuttavia,
B. ebbe l’occasione di rivelarsi a fondo nel tema delle
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chiese: prima a Castel Gandolfo (San Tommaso da Villanova,
1658-61), poi ad Ariccia (chiesa dell’Assunta, 1662-
1664), infine, nel modo piú brillante, in Sant’Andrea al
Quirinale a Roma (1658-1670): opera che realizza pienamente
la sua concezione dell’ed. sacro come impianto
arch. unificato entro il quale si svolge il mistero religioso,
cui alludono le sculture e la decorazione plastica.
Dei due suoi grandi ed. profani a Roma, il palazzo di
Montecitorio (1650-55) e quello Chigi ora Odescalchi in
piazza Santi Apostoli (1664-67), il secondo è di gran
lunga il piú importante. Segna una svolta decisiva che
rompe con la tradizione romana. Il progetto consisteva di
una parte centrale a tre piani, di cui i due superiori articolati
in sette campate, con pilastri giganti compositi; le due
ali arretrate presentavano tre campate in semplice stile rustico.
L’opera, in. dal Maderno (cortile) e compl. con C.
Fontana, ebbe grandissima influenza, e divenne il modello
dei palazzi signorili di tutta Europa; la composizione è
stata purtroppo rovinata da successive alter. e ampl. (n.
salvi, 1745, con la coll. del vanvitelli). Il dono di B.
per la monumentalità e la colossalità trovò espressione suprema
in piazza San Pietro (1656-67). La concezione è
estremamente semplice ed estremamente originale: un immenso
ovale definito da colonnati su colonne libere, sormontate
da una trabeazione. Ciò non soltanto contribuí a
correggere i difetti della facciata del maderno, conferendole
un effetto di maggiore altezza, ma espresse con imponente
autorità e persuasione la dignità, la grandiosità e
la serenità maestosa della Madre Chiesa. B. stesso paragonò
il colonnato alle braccia materne della Chiesa che accolgono
i cattolici per rafforzare la fede. La piazza avrebbe
dovuto venir completata da un «terzo braccio», purtroppo
mai realizzato; anzi l’effetto cui B. mirava, di sorpresa
ed esaltazione al valico dei colonnati, è stato ora
stolidamente distrutto dall’apertura di via della Conciliazione
(1937). Il colonnato della piazza è stato poi ampiamente
imitato, da Greenwich a Leningrado. (Cfr. caramuel).
L’ultima grande opera berniniana, la Scala Regia in Vaticano
(1663-66) ne riassume lo stile, la sensibilità a lui
propria per la dimensione e il movimento, la capacità di
trarre vantaggio dalle difficoltà stesse di una situazione, la
maestria negli effetti scenografici (illusioni ottiche, prospettive
forzate, fonti di luce nascoste), nonché l’uso bril-
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lante della scultura per drammatizzare i punti culminanti
della composizione. In quest’opera egli ha raggiunto la
perfetta sintesi barocca tra le arti (Ill. barocco; colonnata;
italia).
Brauer Wittkower ’31; Pane ’53; Wittkower ’55, ’65; Argan
’57a; Borsi ’58, ’67a; Fagiolo dell’Arco ’66; Portoghesi, eua s.v.,
66b. (E. Einaudi)
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